Un decapeptide - ovvero una molecola costituita da 10 aminoacidi - naturalmente presente nella frazione proteica di alcuni cereali, potrebbe combattere la tossicità della gliadina, la proteina presente nelle farine di grano, segale ed orzo, responsabile della celiachia, una intolleranza alimentare permanente, su base autoimmune, che colpisce un soggetto su 100 nella popolazione generale. È quanto viene descritto in uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Cereal Science , nato dalla collaborazione tra Marco Silano, direttore del reparto alimentazione, nutrizione e salute del dipartimento di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ed i team di Luigi Cattivelli del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura presso i Centri di ricerca di Foggia e di Fiorenzuola D'Arda (Piacenza) e di Luigi Maiuri, docente di pediatria presso l'università di Foggia e direttore di ricerca dell'Istituto europeo per la ricerca in fibrosi cistica presso l'Istituto scientifico San Raffaele di Milano.Tale decapeptide, denominato pRPQ, è in grado di prevenire la tossicità della gliadina in vari modelli in vitro di malattia, compresa la coltura di mucosa intestinale di pazienti celiaci che riproduce i meccanismi di tossicità del glutine in vivo. Si potrebbe quindi ipotizzarne, qualora studi in vivo sul paziente ne confermassero l'azione protettiva, l'uso in terapia per consentire ai soggetti celiaci un normale consumo di glutine e garantire un miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Lo studio apre nuovi potenziali scenari per il disegno di nuove cure per una malattia che, a tutt'oggi, è controllabile solo attraverso l'esclusione del glutine ed il ricorso a diete speciali. Non dimentichiamo che l'incidenza in Italia è stimata in un soggetto ogni 100 persone. I celiaci potenzialmente sarebbero quindi 600mila, ma ne sono stati diagnosticati ad oggi poco più di 100mila. Ogni anno vengono effettuate 20mila nuove diagnosi con un incremento annuo di circa il 20%. Attualmente non esiste alcuna terapia, se non l'esclusione dal regime alimentare di alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza. Ciò richiede quindi un forte impegno di educazione alimentare. La dieta senza glutine è oggi l'unica terapia che garantisce al celiaco un perfetto stato di salute.
Farmacia Maddaloni
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martedì 13 marzo 2012
giovedì 23 febbraio 2012
Alcol. Ministero della Salute. “Preoccupa il consumo tra i giovani”
| Cresce il fenomeno del binge drinking e del consumo fuori pasto, soprattutto tra i giovani, in particolare donne. Tra le ragazze di 14-17 anni la quota delle consumatrici fuori pasto è passata dal 6% del 1995 al 14,6% del 2010. Lo rileva la Relazione del ministero della Salute al Parlamento. |
| 23 FEB - “Preoccupano i dati della diffusione di consumo di alcol, soprattutto a livello giovanile, che richiedono attenzione e impegno maggiore circa l'educazione al bere sano e moderato da parte di tutti". Ad affermarlo è il ministro della Salute, Renato Balduzzi, commentando nell'ottava Relazione sugli interventi realizzati da Ministero e Regioni in attuazione della legge-quadro 125/2001 in materia di alcol e problemi correlati al consumo di alcol presentata a dicembre al Parlamento e pubblicata oggi sul sito del ministero. Balduzzi ha quindi annunciato l’“intenzione, insieme al ministro dell'Istruzione Francesco Profumo e al ministro Andrea Riccardi, che ha la delega per le politiche giovanile, di approfondire il ruolo delle agenzie educative e della scuola nel contrasto del consumo smodato di alcol". Se dai dati della Relazione portano buone notizie relativamente alla mortalità legata alla patologie connesse all'uso di alcol, diminuita de12% dal 2007 al 2008), alla percentuale degli utenti in trattamento (seppure con una lieve diminuzione dell’1,8% dal 2008 al 2009), preoccupa il persistere di alti tassi di consumo di alcolici tra i giovani. In particolare, si diffonde sempre più la pratica di consumare bevande alcoliche in grande quantità in breve tempo fuori pasto. In particolare nel 2010 il fenomeno del binge drinking ha riguardato il 13,4% degli uomini e il 3,5% delle donne. Nella fascia tra i 18 e i 24 anni la percentuale di donne che pratica il binge drinking sale al 9,7 %. I consumatori fuori pasto sono “notevolmente” aumentati nel corso dell'ultimo decennio: dal 33,7 % al 41,9% i consumatori tra i 18 e 24 anni; dal 14,5 al 16,9 quelli tra 14 e 17 anni. E' tra le ragazze di 14-17 anni che la quota delle consumatrici fuori pasto raddoppia negli ultimi 15 anni, passando dal 6 % del 1995 al 14,6% del 2010. La Relazione, secondo il ministero, “conferma quindi il passaggio dal tradizionale modello di consumo mediterraneo, con consumi quotidiani e moderati, incentrati prevalentemente sul vino, a un modello più articolato, che risente sempre più dell'influsso culturale nordeuropeo”. Tuttavia i livelli generali di consumo tra il 2009 e il 2010, sottolinea però il ministero, registrano un trend di lieve diminuzione tra i giovani fino a 25 anni (dal 34,3% al 34,1%) e tra le donne (dal 15,7% al 14,6%). Dunque, afferma Balduzzi nella presentazione della Relazione, “le politiche di contrasto nazionali e regionali stanno ottenendo qualche riscontro: è necessario continuare a consolidare i dati positivi e contenere i problemi più rilevanti, rafforzando in particolare gli interventi di prevenzione e un attento monitoraggio che guidi verso l'adozione delle politiche più adeguate". Questo vale, secondo il ministro, soprattutto nei confronti dei più giovani: "Dobbiamo aiutare i giovani a fronteggiare le pressioni sociali al bere in contesti significativi come la scuola, i luoghi del divertimento, della socializzazione e dello sport, e realizzare interventi di intercettazione precoce del consumo giovanile a rischio, accompagnandoli con appropriati interventi di sostegno e motivazione al cambiamento, secondo la strategia già sperimentata a livello internazionale ed europeo e sarà recepita nel nuovo Piano Sanitario Nazionale". Fonte: ilfarmacistaonline.it Farmacia Maddaloni |
giovedì 9 febbraio 2012
Patologie cardiache. Ecco le super-cellule per rigenerare il cuore danneggiato
| Alcuni ricercatori del Cnr e dell’Irccs MultiMedica hanno dimostrato come sia possibile creare delle cellule embrionali del cuore, capaci di differenziarsi in cellule cardiache battenti, a partire da cardiomiociti già differenziati. Ampie le prospettive terapeutiche. |
| Cinque anni fa, nel 2006, il ricercatore giapponese Shinya Yamanaka stupì il mondo dimostrando la possibilità di ritrasformare le cellule adulte e differenziate in cellule “staminali”, simili a quelle embrionali - il cui uso pone problemi etici. Da quella ricerca, dalla quale nacque la nuova classe di cellule staminali dette multipotenti indotte, prende oggi le mosse una ricerca italiana, condotta dal Cnr e dall’Irccs MultiMedica, che promette di usare questa classe di unità biologiche per la rigenerazione dei cardiomiociti, le cellule del tessuto muscolare cardiaco coinvolte in una serie di patologie, tra le quali l’ischemia. Laricerca è stata pubblicata sulla rivista Cell Death and Differentiation. “La ricerca nasce dalla integrazione del lavoro di Yamanaka con la nostra esperienza nella rigenerazione cardiaca maturata nel corso della nostra formazione negli Stati Uniti presso la Harvard Medical School”, ha spiegato a Quotidiano Sanità Roberto Rizzi dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Cnr (Ibcn-Cnr), primo autore dello studio. “Abbiamo affinato la metodologia già usata in Giappone nel 2006 utilizzando vettori che inserivano più geni alla volta”, ha spiegato il ricercatore: “dato che la manipolazione delle cellule cardiache richiede una specifica competenza e precisione, la difficoltà più grande è stata essere sicuri di aver riprogrammato un cardiomiocita”. Lo scopo di tutto il lavoro era infatti riportare cellule neonatali e adulte, come i cardiomiociti post-natali, ad una condizione di ‘staminalità’, ovvero riportarle a uno stato embrionale. “I cardiomiociti hanno capacità proliferative minime se non assenti e ciò significa che a seguito di danno ischemico cardiaco, come per esempio nell’infarto, si crea una cicatrice riducendo la capacità funzionale del cuore, situazione nota come scompenso cardiaco”, ha spiegato Rizzi. “Il nostro lavoro ha dimostrato che, attraverso l’introduzione di geni fetali all’interno del genoma di cardiomiociti post-natali, è possibile ricondurre queste cellule già differenziate a uno stato embrionale. Una volta ottenute le staminali dai cardiomiociti, queste sono state indotte a differenziare nuovamente in cellule cardiache battenti”. Un risultato senza precedenti che apre la strada a molteplici applicazioni. “La ricerca ha messo in evidenza che le cellule multipotenti indotte ottenute dai cardiomiociti hanno una capacità maggiore di ridiventare nuovamente cellule cardiache contrattili, rispetto ad altre cellule staminali, e ne ha definito le basi molecolari stabilendo che questa ‘memoria’ dipende da pochi geni”, ha continuato il ricercatore. “Grazie alle loro capacità differenziative, queste cellule potranno essere utilizzate per la riparazione del miocardio danneggiato”. I ricercatori precisano però che l'applicazione clinica sugli esseri umani è ancora lontana. “Ad oggi, - ci ha detto Rizzi - il contributo importante che viene offerto da queste cellule è quello di potere effettuare una validazione in vitro di malattie geniche a carico del cuore”. In altre parole, sarà possibile usare le cellule per testare i farmaci: “Utilizzando questo modello sarà possibile testare le nuove molecole in laboratorio e individuare nuovi modi per trattare patologie cardiovascolari, problema che si era già provato ad affrontare con l'utilizzo di topi transgenici. Ora potremo portare avanti questa branca di ricerca in una maniera più realistica”. fonte: ilfarmacistaonline.it Farmacia Maddaloni |
venerdì 3 febbraio 2012
Freddo e salute. Le "dieci regole" da rispettare. La guida del ministero
| Dieci consigli pratici e una serie di approfondimenti su come difendere l’organismo sia in casa e fuori casa. Attenzione soprattutto ad anziani, neonati e pazienti più vulnerabili e a rischio infezioni. Ecco la guida del ministero della Salute contro il freddo. |
| Le ondate di freddo intenso, possono provocare problemi alla salute. Oltre che l’incremento di sindromi influenzali, le basse temperature possono causare, infatti, anche una recrudescenza della sintomatologia di malattie croniche, specialmente dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e muscolo scheletrico. Nelle condizioni più estreme, si possono verificare anche casi di ipotermia ed assideramento. Per prevenire i problemi alla salute, il ministero della Salute ha messo a punto una guida (introdotta da un decalogo) per prevenire e combattere gli effetti delle basse temperature sulla salute. Una serie di regole semplici ma essenziali per affrontare nel migliore dei modi l’inverno e le temperature rigide di questi giorni. Ecco le 10 regole principali su cosa si deve e non si deve fare: 1. Regolate la temperatura degli ambienti interni verificando che la stessa sia conforme agli standard consigliati e curate l’umidificazione degli ambienti di casa riempiendo le apposite vaschette dei radiatori: una casa troppo fredda e un’aria troppo secca possono costituire un’insidia per la salute. Può essere opportuno provvedere all’isolamento di porte e finestre, riducendo gli spifferi con appositi nastri o altro materiale isolante 2. Abbiate cura di aerare correttamente i locali: l’intossicazione da monossido di carbonio è assai frequente e può avere conseguenze mortali 3. Se usate stufe elettriche o altre fonti di calore (come la borsa di acqua calda) evitate il contatto ravvicinato con le mani o altre parti del corpo 4. Prestate particolare attenzione ai bambini molto piccoli e alle persone anziane non autosufficienti, controllando anche la loro temperatura corporea 5. Mantenete contatti frequenti con anziani che vivono soli (familiari, amici o vicini di casa) e verificate che dispongano di sufficienti riserve di cibo e medicinali. Segnalate ai servizi sociali la presenza di senzatetto, in condizioni di difficoltà. 6. Assumete pasti e bevande calde (almeno 1 litro e ½ di liquidi), evitate gli alcolici perché non aiutano contro il freddo, al contrario, favoriscono la dispersione del calore prodotto dal corpo 7. Uscite nelle ore meno fredde della giornata: evitate, se possibile, la mattina presto e la sera soprattutto se si soffre di malattie cardiovascolari o respiratorie 8. Indossate vestiti idonei: sciarpa, guanti, cappello, ed un caldo soprabito, sono ottimi ausili contro il freddo 9. Proteggetevi dagli sbalzi di temperatura quando passate da un ambiente caldo ad uno freddo e viceversa 10. Se viaggiate in automobile non dimenticate di portare con voi coperte e bevande calde La guida del ministero contiene poi una serie di approfondimenti su come difendere l’organismo umano e riconoscere tempestivamente gli effetti del freddo sulla salute. Dopo avere brevemente descritto quali sono i rischi per la salute che si corrono in caso di freddo intenso e le principali patologie correlate, il ministero illustra infatti una serie di raccomandazioni generali per prevenire le insidie del freddo sia in casa che fuori casa, a cominciare dall’abbigliamento e dall’alimentazione più adeguata. Il ministero ricorda di prestare particolare attenzione ai soggetti più deboli, cioè anziani, neonati e pazienti vulnerabili e a rischio infezioni, che possono subire conseguenze sulla salute, a volte gravi, se esposti a temperature eccessivamente rigide. Attenzione anche alla conservazione dei farmaci e alla loro assunzione perché, spiega il ministero, “anche se in merito non esistono ancora dati certi, è bene sapere che alcuni farmaci potrebbero essere responsabili o dell'insorgenza o del peggioramento di sintomi legati al freddo, interagendo con i meccanismi dell'organismo di adattamento al freddo”. Infine un capitolo dedicato alla prevenzione degli incidenti domestici, in particolare legati al rischio esplosione e fughe di gas e intossicazione da ossido di carbonio. In questo ultimo caso, occhio all’insorgenza dei sintomi: mal di testa, vertigini, nausea, sonnolenza, secchezza delle fauci, diarrea e vomito. fonte: ilfarmacistaonline.it Farmacia Maddaloni |
giovedì 2 febbraio 2012
Influenza. A gennaio brusco aumento dei casi. Da ottobre a oggi colpiti 2,2 milioni di italiani
| La curva epidemica dell’influenza continua la sua ascesa, mezzo milione a letto solo nell’ultima settimana di gennaio. Il livello di incidenza totale ha subito un forte aumento ed è pari a 8,66 casi per mille assistiti, un mese fa aveva appena superato i 3 malati ogni 1000. Il picco a febbraio. |
| Sembra che il picco epidemico per l’influenza sia alle porte, se non già arrivato, visto il brusco aumento di casi che si è registrato nell’ultimo mese e in particolare nelle ultime tre settimane. Secondo idati Influnet il livello di incidenza totale negli ultimi sette giorni di gennaio è arrivato agli 8,66 casi per mille assistiti, che in numeri assoluti corrisponde a 525.300 concittadini malati. La stima totale, dall’inizio della sorveglianza, arriva così ai 2.200.000 casi. Le rilevazioni parlano chiaro. Appena tre settimane fa si sono superati i 4 casi ogni mille assistiti.Un numero che è cresciuto poi a grande velocità, tanto da risultare raddoppiato nell’ultimo rapporto. Ma è forse un altro il dato che più dimostra quanto l’aumento dei casi di influenza sia stato rapido: fino alla prima settimana di gennaio – ovvero nei primi tre mesi di monitoraggio – erano stati appena un milione i nostri concittadini che erano rimasti a casa a causa del male stagionale. Ma sono stati addirittura di più, un milione e centomila, gli italiani che hanno contratto il virus influenzale solo nelle ultime tre settimane. Le età più colpite sono – come sempre – quelle pediatriche, in cui si osserva un brusco aumento del livello dell’incidenza, alimentato soprattutto dai bambini al di sotto dei 5 anni di età. Nella fascia tra 0 e i 36 mesi, l’incidenza ha superato 30 casi ogni mille piccoli pazienti, una percentuale che lo scorso anno era stata appena sfiorata (nella passata stagione il numero si era fermato a 29,12 casi ogni 1000). In alcune regioni l’incidenza totale del virus ha superato la soglia di 9 influenzati ogni mille assistiti: nella quarta settimana del 2012 il più alto livello di incidenza si è osservato nelle Marche, con quasi 18 casi per mille assistiti (17,71), seguito dal Molise con 14,09. Le regioni “graziate” dal male stagionale sono invece state Friuli Venezia Giulia e Sardegna, rispettivamente con 2,54 e 3,45 casi ogni 1000 abitanti. Nulla di preoccupante, comunque, visto che siamo prossimi al periodo per cui gli esperti avevano previstoil picco influenzale, ovvero l’inizio di febbraio, proprio come l’anno scorso. fonte: ilfarmacistaonline.it Farmacia Maddaloni |
mercoledì 1 febbraio 2012
Epatite C. In Italia record europeo, più martoriato il Sud
Solo una minima parte degli italiani con Hcv è al corrente di soffrirne ed è in cura per tenere a bada il virus. Campania, Puglia e Calabria le Regioni più colpite. Se ne parlerà domani al II Workshop nazionale di economia e farmaci in epatologia alla Cattolica del Sacro Cuore-Gemelli di Roma. |
| L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di persone positive al virus dell'epatite C (Hcv) e più morti per tumore primitivo al fegato. Si stima che il 3% degli italiani sia entrata in contatto con l'Hcv e che i portatori cronici del virus siano circa 1,6 milioni, di cui 330 mila con cirrosi epatica. Tradotto in termini di vite umane, la cirrosi da epatite C e B (Hbv) e le sue complicanze uccide ogni anno circa 12 mila italiani. A livello regionale il Sud è il più colpito: in Campania, Puglia e Calabria, per esempio, nella popolazione over 70 la prevalenza dell'Hcv supera addirittura il 20%. A fotografare i contorni della patologia, esperti e associazioni dei pazienti, riuniti nel II Workshop nazionale di economia e farmaci in epatologia (Wef-E), in programma domani a Roma all'università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma. La situazione italiana non è delle più rosee. Come abbiamo visto il nostro è il Paese europeo con il maggior numero di soggetti Hcv positivi. “L’incidenza della infezione da Hcv (cioè il numero di nuovi casi ogni anno) è in diminuzione – spiega Nicola Caporaso, ordinario di Gastroenterologia all'università Federico II di Napoli - ma in Italia abbiamo un numero molto elevato di malati che deriva dalla coorte di soggetti che sono stati infettati nei decenni scorsi quando non si conoscevano i meccanismi di trasmissione e la circolazione del virus procedeva indisturbata”. Le infezioni sono più frequenti al Sud. Le infezioni da virus epatitici sono molto più frequenti nelle regioni del Sud Italia. Attualmente nuove infezioni da Hbv sono quasi scomparse nella popolazione più giovane di ogni parte d’Italia per gli effetti della vaccinazione anti-epatite B. La prevalenza d’infezione Hcv (cioè il numero di pazienti con epatite cronica) in Italia è fortemente associata con l’area geografica e l’età, secondo un “effetto coorte”, e raggiunge punte particolarmente elevate nella popolazione anziana di alcune regioni del Sud Italia (In particolare in Campania, Puglia e Calabria). Chi rischia di più l’infezione. La trasmissibilità di Hbv per via sessuale è una delle principali cause di nuova infezione, specie per rapporti non protetti con persone proveniente da aree ad alta diffusione del virus. Per l’epatite C la tossicodipendenza e i trattamenti estetici come piercing e tatuaggi, effettuati in condizioni inidonee, rappresentano i maggiori fattori di rischio infezione. “L’attuale elevata immigrazione da regioni come l’Africa e il Mediterraneo Orientale nelle quali la prevalenza delle infezioni da virus epatitici è particolarmente elevata - afferma il professor Caporaso - sta altresì cambiando l’epidemiologia di Hbv ed Hcv in Italia, incrementando il serbatoio di soggetti positivi. Inoltre la tipologia di infezione dei soggetti immigrati si differenzia per genotipo dell’Hcv (maggiore prevalenza di genotipo 4) e per maggior numero di soggetti con maggiori quantità di virus B in circolo e quindi maggiore capacità di trasmettere l'infezione. I costi delle epatiti. Nel nostro Paese le epatopatie incidono per il 5% dei rimborsi spettanti alle Regioni per l’attività ospedaliera, con una remunerazione teorica superiore al miliardo di euro. Questi numeri sono indicativi dell’importanza e dell’onerosità delle malattie epatiche per il Sistema Sanitario. Inoltre, la situazione attuale è caratterizzata da un’ampia variabilità territoriale: in particolare, il tasso di ospedalizzazione per 100mila abitanti varia da meno dello 0,5 del Piemonte al 3,2 della Campania. Contando familiari e pazienti l’epatite coinvolge 4-5 milioni di italiani. L’efficacia delle terapie. È ormai ampiamente dimostrato dalla pratica clinica, spiega il professor Massimo Colombo, ordinario di gastroenterologia all’Università di Milano, che i pazienti con cirrosi o comunque epatite severa (un quarto del totale dei pazienti con epatite C) traggono beneficio dal trattamento antivirale ottenendo la reversione della cirrosi in molti casi. Nell’epatite B le terapie antivirali determinano reversione dello scompenso clinico ed aumentano l’accesso al trapianto fegato salvavita. Meno chiari sono gli effetti a lungo termine delle terapie antivirali nei pazienti con lieve o moderata epatite, senza cirrosi. Nondimeno è chiaro che indipendentemente dal livello di danno epatico, è sempre conveniente eradicare il virus, soprattutto se il paziente è giovane e ha prospettiva di lunga vita. Purtroppo ancora molti pazienti restano senza diagnosi, visto che il numero di pazienti in cura è circa l’1,5-2% del totale delle infezioni croniche in Italia, che ammontano a 1,2 milioni di persone per epatite C e mezzo milione per epatite B. fonte: ilfarmacistaonline.it Farmacia Maddaloni |
martedì 31 gennaio 2012
Brevettata la molecola che ci salverà dall’Alzheimer
| È italiana la ricerca che ha portato al brevetto di quello che potrebbe essere il definitivo vaccino per l’Alzheimer. Per ottenerlo gli scienziati del Cnr hanno cercato di minimizzarne i rischi per l’organismo e di ottimizzare l’efficacia terapeutica. |
| La ricerca italiana d’alta qualità spesso non va di pari passo con la brevettazione, tanto che pochi mesi fa uno studio econometrico aveva denunciato proprio l’enorme differenza tra il numero di studi prodotti su suolo italiano, rispetto al numero di brevetti concessi. Ma sembra che per una volta quest’abitudine sia stata interrotta: il merito è del brevetto appena concesso all’Istituto di Genetica e Biofisica (Igb-Cnr) e all’Istituto di Biochimica delle Proteine (Ibp-Cnr) del Cnr, che riguarda un vaccino di nuova generazione contro l’Alzheimer dal nome poco intuitivo, (1-11)E2. La molecola, come spiega uno studio pubblicato a luglio sulla rivista Immunology and Cell Biology, è capace di innescare una risposta immunitaria contro il beta–amiloide, ovvero proprio quel peptide che si accumula nel cervello delle persone affette dalla patologia neurodegenerativa. A partire da essa è stato sviluppato un vaccino, che oltre al brevetto appena ottenuto, ha visto una application per un brevetto internazionale. Per ottenere questa proteina chimerica, gli scienziati hanno fuso due proteine diverse: un piccolo frammento dello stesso peptide beta-amiloide e una proteina batterica. La sostanza è capace, in provetta, di auto-assemblarsi formando una struttura simile a un virus per forma e dimensioni. “Sono ormai 10 anni che ricercatori di tutto il mondo stanno esplorando la possibilità di prevenire l’Alzheimer con un vaccino: le prime sperimentazioni sull’uomo hanno acceso molte speranze, ma anche evidenziato possibili effetti collaterali gravi, che ne impediscono l’utilizzo”, ha spiegato Antonella Prisco, dell’Igb-Cnr, coordinatrice della ricerca. “Usando il bagaglio di esperienze accumulato, abbiamo messo a punto la molecola (1-11)E2, cercando di minimizzarne i rischi per l’organismo e di ottimizzarne l’efficacia terapeutica”. La sperimentazione è attualmente nella fase pre-clinica, che prevede la somministrazione del vaccino a topi normali. Il passo successivo consiste nel testare l’efficacia terapeutica e i possibili effetti collaterali in topi transgenici che sviluppano una patologia simile all’Alzheimer. “Il vaccino che abbiamo prodotto induce rapidamente una forte risposta di anticorpi contro la proteina beta-amiloide e polarizza la risposta immunitaria verso la produzione di una citochina anti-infiammatoria, l’interleuchina-4, confermando le proprietà immunologiche auspicate”, ha precisato la ricercatrice dell’Igb-Cnr. Proprio per questo vaccino sono state depositate le due domande di brevetto, di cui la prima è già stata accettata. “Attualmente si ricorre ampiamente ai vaccini per prevenire le malattie infettive, ma anche una patologia come l’Alzheimer potrebbe essere prevenuta o curata mettendo in atto un processo simile”, ha commentato Piergiuseppe De Berardinis dell’Ibp-Cnr. “Il vaccino induce la produzione di anticorpi, questi ultimi si legano al peptide che causa la malattia, favorendone così l’eliminazione”. Ad oggi i due team di ricerca stanno ancora lavorando, come ha spiegato ancora De Berardinis. “Il prossimo passo è quello di convogliare la risposta immunitaria sui bersagli desiderati”, ha concluso: “Per questo stiamo lavorando sui ‘carrier’, molecole o micro-organismi utili proprio a questo scopo”. fonte: ilfarmacistaonline.it Farmacia Maddaloni |
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